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ROSSELLA BONFATTI
La ripetizione dell’ombra
Sui “Dialoghi con il padre”
 
     
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Ci sono avventure che si colorano di migrazioni improvvise: i DIALOGHI CON IL PADRE accorciano questo tragitto con la misura di un’ombra ripetuta. Il padre è qui avvicinato per esposizioni successive: dalla prima fotografia, una posa familiare, uno sguardo che continua (“a ritroso, tra noi, questo viaggio di/ dune”); alla seconda, una foto di gruppo accanto al pianoforte, “strumento di gioia così distante/ dal tuo vivere quotidiano”; a quelle, soltanto accennate, per destinazioni vicendevoli, che accompagnano al centro di un’”anfora cieca” (dove tutto si fa da sé e poi si stacca, dove potrà accadere di incrociare “timidi fari” al posto della luce, dove forse ci sarà un’altra canzone a riprendere lo stesso motivo interrotto). Il tempo lascia infatti “un gesto tracciato nell’aria”, l’inesausto riposo di “quattro stecche/ del pianoforte che ridanno da sperare” (Amelia Rosselli, VARIAZIONI), mentre i nomi dei viaggi, come

“fiume incessante, al confine
d’ogni memoria”

ritrovano le ore perdute e quelle di mani, madri, “pallidi rematori”, e

“marinai senza mare e
senza nave”.

Proprio in quest’“esilio dell’acqua” che parla di sottrazione sì, ma di deserto e di percorrenza possibile, la morte dorme sotto un coperchio d’argento, diventa ebbrezza sospesa, affidata alle chiavi della memoria. Essere stati nei punti disattesi, aspettare una “cartolina dal regno dei morti” (anziché “prendere il salto per un addio più difficile”?): nei DIALOGHI CON IL PADRE Ci sono avventure che si colorano di migrazioni improvvise: i la biografia entra sì in un corpo stabile (subito identificato come ‘voce’), ma pure come corpo sdoppiato, un corpo in rottura che cerca tutte le sue pienezze, siano esse nervature domestiche e cosmiche. Al dolore reale si accompagna quindi quello dell’“immobilità”, quello dell’“incertezza” nel percorso e nella visione. “Morire nel 1944” rimane un “inaspettato destino”, il corso ritratto di una vita inseguita oggi, per “cenere” e “parabola”. Ma qualcosa di ancor più necessario sta sul suo fianco addormentato: al silenzio è infatti affidato un compito inverso a quello della scrittura ‘veggente’ perché chiamando la morte, si chiama senza richiamo, si perdono le voci. La nuit remue.
Basta misurare quell’assenza con “poche parole nell’inquieta cecità/ delle lanterne” per rendersene conto; basta “parlare ogni giorno la tua lingua/ piccola, privata, prossima alla/ catastrofe”.

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