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FABIO DE SANTIS
Dove finiscono le voci
Sui “Dialoghi con il padre”
 
 
Da tempo non ti ascolto. Impervio
il viaggio fino alla tua soglia, porta
di un oceano chiuso, smisurato.
(Marco Fregni: in D'OGNI PADRE, PADRE
 
 

Tre versi paradigmatici, dove Marco riesce in poche parole a sintetizzare dei temi, o forse delle ansie, che percorrono tutto il libro; dove riesce anche a garantire “fedeltà” ad una persona, il padre, che chiaramente mantiene un posto particolare nella sua esperienza affettiva ed allo stesso tempo rimane ancorato ad una vertigine che domina la sua poesia: la morte, il nulla che assedia la vita. Sceglie di alloggiare in un luogo di confine, su una soglia, spinto dalla ricerca di scovare un varco, un'apertura da cui poter spiare, o arrivare a strappare un segreto a quello che è il mistero più grande per l'uomo.
Un libro che sembra proprio intrecciarsi con una ragione del vivere e l'autenticità traspare da una certa chiarezza espressiva e da una scorrevolezza della scrittura, che Marco adopera abilmente, soprattutto quando decide di passare da un verso asciutto e comunicativo ad una poesia vertiginosa.
Nei DIALOGHI CON IL PADRE Marco Fregni si mostra limpido nella rivisitazione di un'esperienza e rimane distante dalle possibili tentazioni di cadere in una rete di psicologismi, o di fare di un'esperienza un pretesto per un'auto-analisi, e riesce tuttavia, aggirando il pericolo, a drammatizzare il discorso attraverso reiterazioni ravvicinate, che non sembrano dettate dalla volontà di definire dei contorni, rafforzando delle immagini, delle parole, ma dal soffermarsi su un qualcosa che procede incomprensibile nel suo realizzarsi, per prodigarsi in direzione di una meta ignota.
Il libro è animato da una dialettica serrata, quella che coinvolge la curiosità di “indovinare” il “luogo” dove va a terminare la vita e la consapevole impossibilità di fare entrare l'inconosciuto nell'esperienza. Una dialettica che conduce ad un'ambiguità, che rappresenta l'impervia condizione di procedere in un paesaggio senza riferimenti, dunque la necessità di equipaggiarsi con una sensorialità sottile, in grado di rilevare una dimensione extraumana, l'unica con il potere di realizzare un incontro altrimenti inammissibile. In un finale dove il dialogo può spostarsi sulla soglia vertiginosa che prolunga sul nulla, passando per uno stordimento dei sensi, Marco Fregni non abbandona l'idea di poter gabbare la morte attraverso una sensorialità in grado di varcare un confine inviolabile, ma torna la cognizione dell'immensità dell'opera, quindi la richiesta finale al padre di animarsi, di arrivare a colmare una distanza, attribuendo come un segno di onnipotenza agli abitanti del regno dei morti e solo per un istante, appunto: Dove /ora/ la tua/ voce/ di /padre? // Perduta/ per/ sempre.


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