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Tre versi paradigmatici, dove Marco riesce in poche parole a sintetizzare
dei temi, o forse delle ansie, che percorrono tutto il libro; dove riesce
anche a garantire “fedeltà” ad una persona, il padre,
che chiaramente mantiene un posto particolare nella sua esperienza affettiva
ed allo stesso tempo rimane ancorato ad una vertigine che domina la sua
poesia: la morte, il nulla che assedia la vita. Sceglie di alloggiare
in un luogo di confine, su una soglia, spinto dalla ricerca di scovare
un varco, un'apertura da cui poter spiare, o arrivare a strappare un segreto
a quello che è il mistero più grande per l'uomo.
Un libro che sembra proprio intrecciarsi con una ragione del vivere e
l'autenticità traspare da una certa chiarezza espressiva e da una
scorrevolezza della scrittura, che Marco adopera abilmente, soprattutto
quando decide di passare da un verso asciutto e comunicativo ad una poesia
vertiginosa.
Nei DIALOGHI CON IL PADRE Marco Fregni si mostra limpido nella rivisitazione
di un'esperienza e rimane distante dalle possibili tentazioni di cadere
in una rete di psicologismi, o di fare di un'esperienza un pretesto per
un'auto-analisi, e riesce tuttavia, aggirando il pericolo, a drammatizzare
il discorso attraverso reiterazioni ravvicinate, che non sembrano dettate
dalla volontà di definire dei contorni, rafforzando delle immagini,
delle parole, ma dal soffermarsi su un qualcosa che procede incomprensibile
nel suo realizzarsi, per prodigarsi in direzione di una meta ignota.
Il libro è animato da una dialettica serrata, quella che coinvolge
la curiosità di “indovinare” il “luogo”
dove va a terminare la vita e la consapevole impossibilità di fare
entrare l'inconosciuto nell'esperienza. Una dialettica che conduce ad
un'ambiguità, che rappresenta l'impervia condizione di procedere
in un paesaggio senza riferimenti, dunque la necessità di equipaggiarsi
con una sensorialità sottile, in grado di rilevare una dimensione
extraumana, l'unica con il potere di realizzare un incontro altrimenti
inammissibile. In un finale dove il dialogo può spostarsi sulla
soglia vertiginosa che prolunga sul nulla, passando per uno stordimento
dei sensi, Marco Fregni non abbandona l'idea di poter gabbare la morte
attraverso una sensorialità in grado di varcare un confine inviolabile,
ma torna la cognizione dell'immensità dell'opera, quindi la richiesta
finale al padre di animarsi, di arrivare a colmare una distanza, attribuendo
come un segno di onnipotenza agli abitanti del regno dei morti e solo
per un istante, appunto: Dove /ora/ la tua/ voce/ di /padre? // Perduta/
per/ sempre.
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