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GIANFRANCO MAMMI  
  POSTILLA: COME SI NASCE
(L’Uomo in grigio, di G. M. Visconti)
 
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Si nasce così, due paginette appena lungo la pelle chiara di una rivista di poesia: Steve, novembre 1996, numero 14, “Breve racconto incolore” – quattro fotogrammi ben temperati. C’è una casa grigia sul fondo del viale; l’uomo grigio si guarda allo specchio – uno specchio magico, naturalmente; l’uomo grigio commette un peccato di gelosia, un uccello prende il volo e si perde per sempre “fino a scordarsi di essere”; poi lo specchio si rompe, “la vendetta era compiuta”.
I primi quattro passi mondani dell’uomo grigio contengono già il suo intero percorso e, in nuce, la planimetria completa della sua bislacca e geniale città – una città di superficie infinita e fondamentalmente uguale a se stessa in ogni suo punto; incroci, giardini, statue e quartieri che si ripetono senza fretta e abbracciano il pianeta con una rassicurante noncuranza.
Non è una infatti una città indisponente né tanto meno ostile – è una città pococurante per scelta precisa di un imprecisato arci-architetto.
Sei anni dopo (Plurabelle n. 4, estate 2002) il protagonista torna allo scoperto e allunga il passo con l’esteso episodio, o per meglio dire riflessione, “L’uomo grigio e la voce del tempo”; in questa occasione ci rendiamo conto che la sua natura è essenzialmente quella di un osservatore, ma un osservatore di tipo particolare – una cinepresa in grado di evolversi da semplice macchina ambulante a organo o addirittura organismo; “Per anni, in precedenza, aveva osservato con assenza di stupore, in modo abituale o semplicemente distratto, ciò che il tempo scriveva attorno a lui”, ma poi “sentiva con leggero e grigio stupore di poter osservare in modo diverso rispetto a quanto avesse mai saputo fare e immaginare prima…”
Quest’uomo, grigio quant’altri mai, ha dunque avuto un “prima” ed è capace di fiutarlo e anche di rifiutarlo, sia pure senza eccessivo clamore. E a chi mai potrebbe interessare, chi mai potrebbe disturbare il suo eventuale clamore?
Non ha nessuno – è a stento qualcuno, l’uomo grigio, “l’uomo che aveva la consistenza di poco superiore a quella del vapore” (p. 51). È un protagonista fluttuante quello di questo libro, il massimo dell’inaffidabilità.
Ma l’autore è riuscito a incatenare questo pugno di fumo a una parvenza di vicenda – quanto basta per far chiedere al lettore “Che cosa sta succedendo in questo grigio, e soprattutto perché sta succedendo qualcosa? Non sarebbe meglio chiudere il tutto con un buco?”
Il fatto è che Gian marco Visconti, cioè Marco Fregni, è un narratore che sembra non narrare – fa piuttosto pensare a un batiscafo che esplora un fondale; un ambiente dove il reale ha un colore indefinito ma una grana ben precisa – e questa grana l’autore la fa venire a galla con rigorosa ed elegante potenza.
Noi sappiamo quanti anni di gestazione richiede la nascita di un uomo così, un uomo grigio; e di quanta crusca si nutra prima di “gir infra la gente”.

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