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INTERVISTA

Presentazione del libro “Dialoghi con il padre”.

Libreria “la fenice” a Carpi, ed apparsa sul settimanale “TEMPO”.
Modena, 9 ottobre 2007.

   
 
copertina libro racconti per il padre
 
 

Nella giornata di venerdì 12 ottobre, alle ore 21, presso la Libreria cittadina “LA FENICE” si terrà la presentazione del volume “Dialoghi con il padre” Edizioni del Laboratorio (Modena), raccolta di liriche scritte dal Dott. Marco Fregni. Questo libro segue a distanza di circa tre anni il romanzo “Racconti dell’uomo grigio” Edizioni Progetto Cultura (Roma), prima opera narrativa che, a breve, uscirà in terza ristampa con traduzione in lingua inglese.
Abbiamo incontrato l’Autore al quale abbiamo rivolto alcune domande riguardanti questo suo nuovo libro:
Vorremmo chiederle, prima di entrare nello specifico della sua opera, se ci può fornire alcuni chiarimenti utili ad accompagnarci in questo tipo di lettura.
Questa raccolta si compone di sessantatre liriche, una mia nota finale ed una prefazione di Elio Grasso, poeta e critico molto apprezzato in ambito letterario che, con mia grande soddisfazione, ha accettato di presentare ed accompagnare questo lavoro.
Il progetto del volume ha preso corpo, con estrema lentezza, dopo la morte di mio padre, avvenuta nel lontano 1984, ma soltanto negli ultimi anni, dopo un necessario periodo di elaborazione interiore, si è strutturato in forma poetica. Questo tragico episodio, intervenuto dopo un periodo di malattia, ha prodotto in me un ulteriore atto di riflessione, e consapevolezza, rispetto all’idea della morte.
Attraverso queste liriche si sviluppa il dialogo su “di una presenza che è stata relazione, con svariati dislivelli, e con tantissimi livelli di vicinanza e lontananza.” Per dirla con le parole tratte dalla bella prefazione di Elio Grasso che aggiunge che il senso del libro è anche “ restituire dimensione ad una ombra, ridare efficacia al suo passaggio di uomo, quel passaggio che è stato pesante, d’orma intensa, questo significa. Significa governare dentro e fuori ogni recinto i propri ricordi e convogliarli in una grande difesa della poesia.”
L’evento descritto della perdita, dunque reale, si è poi coniugato ad una delle condizioni fondanti e fondamentali che, da sempre, animano la mia scrittura legata ad una speculazione metafisica che esplora questo evento ben al di là della mera condizione oggettiva. Una lunga riflessione nella quale l’idea della morte è intesa, è bene chiarirlo, come avamposto del nulla, luogo d’assenza in cui non esiste possibilità o consolazione, dove non resiste il mistero.
Il grande poeta francese Yves Bonnefoy rivela a tale proposito: “L’ idea della morte si è inserita in me definitivamente come un sentimento d’amore. Non che io ami la morte, io la detesto…Questo pensiero aderisce così profondamente alla mia mente che non posso occuparmi di alcuna cosa
senza che questa cosa attraversi l’idea stessa della morte, ed anche se non mi occupo di nulla e resto in un riposo completo, l’idea della morte mi accompagna incessantemente, come l’idea di me stesso.”
Una sorta di presenza inalienabile, di ossessione esistenziale e tematica…
Quello della morte, proprio per il mio viscerale attaccamento alla vita e ad ogni sua forma/espressione, è da sempre, è uno dei temi che prediligo o per meglio dire, da cui sono, come da un ammaliante canto di sirene, attratto ”. E’ una sorta di trauma originario, rinnovato e lacerante, che vivo in una sorta di continua “memoria presente”.
Il percorso letterario è, in questo volume, legato anche ad un discorso che affida il proprio segno, la propria scrittura, ad una ricerca e ad una domanda inesauste che instancabilmente cercano la giusta distanza tra gli esseri e gli oggetti della propria riflessione, del proprio sentire. Ricerca talvolta disperata o utopica, che quindi assume principalmente una connotazione poetica, ancor prima che antropologica e filosofica, (tanto meno psicologica), dove la parola cerca, con tutte le proprie ambivalenze, con domande che spesso aprono ad altri interrogativi, una risposta altra, come soltanto la poesia può fornire.
Del resto Carlo Bo, da finissimo critico quale era, ha sempre sostenuto che non esiste nessun vero autore che non sia tale se non si confronta con l’idea della morte.
Dunque la parola poetica intesa anche come strumento d’indagine privilegiato?
D’indagine e di conoscenza. Probabilmente nessun altro tipo di esperienza estetica, nessuna altra parola è in grado di coniugare, portandole al massimo grado di significazione, le esperienze dell’uomo, tra cui, appunto, quella dell’origine e quella dello svanire.
Si ravvisa una tensione poetica precisa verso questo tema che apre ad un dialogo che si mantiene e si sviluppa anche dopo la scomparsa delle persone che abbiamo amate, che hanno rivestito un ruolo significativo nella nostra vita.
Certamente. Credo che il dialogo, anche se apparentemente ad una sola voce, con chi abbiamo frequentato o magari conosciuto soltanto attraverso le opere che ci ha lasciato, sia fondamentale per la crescita e la qualità sentimentale ed intellettuale della vita di ognuno di noi. Spesso questi dialoghi, che paiono ricavare risposte incerte o che, forzatamente, dobbiamo immaginare o ricostruire sulla base degli elementi, ricordi o sensazioni che riteniamo importanti, spesso, dicevo, ci permettono una conversazione più intensa, più autentica con coloro che non sono più tra noi.
Questa è, a tratti, una conversazione densa, muta, legata a silenzi, che varia negli anni, e talvolta sfuma e riappare come sfumano e riappaiono gli occhi ed i volti di chi abbiamo incontrato.
I volti della nostra memoria spesso se ne vanno, dobbiamo recuperarli attraverso vecchie fotografie, non così per le parole di coloro che ci hanno aiutato a divenire ciò che siamo e che spesso pronunciamo anche inconsapevolmente, come nostre.
Un tema che è stato affrontato, nei millenni, attraverso i vari strumenti umani, attraverso le declinazioni dell’intelletto o della spiritualità dell’uomo.
E’, indubitabilmente, uno dei temi centrali dell’uomo, forse l’unico vero tema a cui gli altri sono epifenomenici. Vorrei, però, allargare il discorso, cercando di uscire da una tematizzazione troppo angusta. In questo libro, come sopra detto, cerco di cogliere l’esperienza oggettiva della perdita, della elaborazione del lutto, ma anche, parallelamente coltivo l’idea che poi ha reso necessaria la scrittura di questo libro e cioè la continua e lacerante percezione dello svanire del tempo, del nulla successivo, dell’assenza di ogni possibilità di ritorno. Ciò, naturalmente indica un profondo amore per ogni forma vita, per ogni gesto vitale, avvertito come permanenza, condizione unica, straordinaria, nel senso etimologico del termine, e come tale irripetibile.
Credo che la percezione della morte, quella dell’uomo occidentale del ventunesimo secolo, dopo la totale caduta dei principali statuti metafisici, (religiosi, ideologici), non possa ignorare o discostarsi da questo tipo di realtà che ci determina molto più fortemente di quanto noi stessi percepiamo.
La parole di questo libro navigano all’interno di un percorso che spesso si rivela attraverso ambivalenze che fanno perno su opposizioni fondamentali, e ci obbligano ad entrate che si rivelano uscite e viceversa. Tutto questo per poter continuare in quella ricerca inesausta e dolorosa, quando non disperata, della possibilità di un avvicinamento a ciò che non ha, né potrà, avere mai certa e completa risposta. Queste liriche si alimentano ed alimentano quella continua oscillazione tra poesia e morte necessaria al movimento interiore che, soltanto successivamente, diviene movimento narrativo, scrittura.
A questo tema, così vasto e totalizzante, se ne avvicinano altri. Vere e proprie vertigini che considero complementari e dialogiche alla ricerca, e che non permettono al movimento inventivo di assumere forme statiche od unidirezionali quali ad esempio lo svanire del tempo e della memoria, il lento affondare nell’acqua e nella pietra ( citando Seferis), la melanconica ferita legata alla propria dissoluzione, al vuoto successivo, al nulla.
Una domanda d’obbligo, essendo lei un Autore del nostro tempo, riguardo alle scelte stilistiche che attraversano il suo testo.
Il libro si compone di sette capitoli sviluppati all’interno di progetto di lungo respiro. E ciò, ritengo, abbia fornito una maggior unitarietà e compattezza all’opera nel suo insieme. I capitoli sono leggermente differenziati stilisticamente, nel senso che i primi sono caratterizzati da un andamento maggiormente descrittivo e denotativo, con un taglio a cui, narrativamente, sono affidati gli aspetti della malattia, della morte e degli anni di vita di mio padre. Ci sono poi i capitoli finali, maggiormente speculativi e dialogici, in cui parlo del nostro percorso comune, della condivisione del tempo che abbiamo passato insieme e soprattutto, delle riflessioni sull’idea della morte derivate dalla mia personale cosmogonia.
Ci sono Autori a cui ha fatto riferimento?
Come sempre un libro, sia esso di narrativa o di poesia, risente di molte influenze che, talvolta, per inconsapevoli e prolungati processi di osmosi l’Autore assorbe dal contesto che lo circonda. Molti sono i libri, le parole ascoltate e lette, le situazioni poetiche che ho più o meno consapevolmente raccolto, interiorizzato, ed utilizzato. Direi che questa è una condizione comune ad ogni tipo di autore, anche a coloro che presumono di essere al di fuori della storia. La storia, infatti, insegue e ben presto raggiunge…
Vuole ringraziare qualcuno in particolare?
Vorrei ricordare Elio Grasso che ha consentito e costruito la prefazione, il Professor Carlo Alberto Sitta nella doppia veste di lettore ed Editore, gli amici del Laboratorio di Poesia di Modena, Fabio, Rossella, Barbara e Silva, che con i loro suggerimenti mi hanno permesso, nei mesi, il confronto con altri punti di vista e le inevitabili correzioni.
Vorrei anche ricordare il Dott. Valentino Borgatti che, con la sua compagnia teatrale, allestirà una lettura tratta da questo libro. Anche questa è un’esperienza che mi incuriosisce, in quanto le trasposizioni teatrali, cioè il teatro di poesia, non sono esperienze abitualmente frequentate dai nostri registi.
Infine un sentito ringraziamento a Giuliano Merighi che ha voluto ed organizzato questa lettura, ai titolari della libreria “La fenice” di Carpi che ospiterà questa serata letteraria ed al pubblico che, mi auguro, vorrà intervenire numeroso.
Firma della giornalista